La lotta per la cultura e l’infanzia nel campo profughi di Jenin

Il Freedom Theatre di Jenin offre ai bambini del campo profughi uno spazio di libertà e creatività, affrontando le sfide dell’occupazione militare e della violenza attraverso l’arte e la cultura.
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Il Freedom Theatre di Jenin continua a rappresentare un faro di speranza per i bambini del campo profughi, nonostante le difficoltà crescenti dovute all’occupazione militare e alla violenza. In un contesto segnato da conflitti e sfollamenti, il progetto culturale mira a restituire ai più giovani momenti di gioia e libertà. Mustafa Sheta, direttore del teatro, racconta come l’impegno artistico possa offrire una via d’uscita dalla dura realtà quotidiana.

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L’importanza del Freedom Theatre

Il Freedom Theatre è molto più di un semplice spazio culturale; è un simbolo della resistenza contro l’oppressione. Mustafa Sheta sottolinea che il suo obiettivo principale è permettere ai bambini di vivere esperienze che li facciano sentire liberi e creativi. “Proviamo a concedere loro di essere ciò che sono: soltanto dei bambini,” afferma con determinazione. Nonostante le incursioni militari siano diventate una costante nella vita quotidiana degli abitanti del campo profughi, il teatro offre uno spazio in cui i ragazzi possono esprimersi liberamente.

Sheta ha recentemente trascorso quindici mesi in detenzione amministrativa senza accuse formali; tuttavia, la sua esperienza non ha intaccato il suo spirito combattivo. “La verità è che Israele non tollera le mie idee,” spiega mentre accoglie ospiti italiani e palestinesi nella nuova sede del teatro, ora distante dalla storica location occupata dall’esercito israeliano. La sua testimonianza mette in luce come la cultura possa fungere da strumento di resistenza anche nei momenti più bui.

Le sfide quotidiane nel campo profughi

La situazione attuale nel campo profughi è critica: gli edifici sono stati distrutti o occupati dai soldati israeliani, lasciando molte famiglie senza casa. Adnan, uno dei collaboratori del Freedom Theatre, racconta come la sua stessa abitazione sia stata presa dalle forze armate israeliane: “Sopra c’è ora una grossa bandiera israeliana.” Questo clima opprimente rende difficile qualsiasi forma di vita normale per gli abitanti.

Le attività lavorative sono quasi ferme; la disoccupazione ha raggiunto livelli allarmanti con circa il 55% della popolazione senza lavoro. I recenti eventi hanno aggravato ulteriormente questa crisi: arresti arbitrari come quello del giornalista Ali Samouni hanno colpito duramente la comunità locale già provata dagli scontri prolungati tra l’esercito israeliano e i residenti palestinesi.

Un giovane commesso in un negozio vicino al campo descrive quanto sia rischioso uscire: “Dai piani alti dei palazzi i cecchini controllano le strade.” Questa paura costante limita gravemente le possibilità delle persone comuni nella loro vita quotidiana.

Un’eredità culturale da proteggere

La storia dello Stone Theatre risale al 1987 ed è stata segnata da eventi drammatici fin dalla sua fondazione ad opera di Arna Mer-Khamis. Dopo essere stato raso al suolo durante la seconda Intifada nel 2002, il teatro fu rinato grazie all’impegno del figlio Juliano Mer-Khamis nel 2006 sotto il nome attuale di Freedom Theatre. Purtroppo anche lui pagò un prezzo altissimo per questo impegno quando fu assassinato a Jenin nel 2011.

Mustafa Sheta porta avanti quest’eredità con passione ma anche con grande responsabilità personale; ricorda infatti suo padre ucciso dai soldati israeliani poco prima della sua laurea universitaria nel 2002. Per lui continuare questa lotta attraverso l’arte significa mantenere viva una tradizione culturale fondamentale per l’identità palestinese: “Anche questa è resistenza,” afferma convinto dell’importanza della cultura in tempi difficili.

La situazione attuale a Jenin

Oggi Jenin si trova sotto assedio militare nell’ambito dell’operazione “Muro di Ferro” condotta dall’esercito israeliano da oltre cento giorni; questo ha portato alla devastazione fisica delle infrastrutture civili e alla perdita delle case per migliaia di persone sfollate dal conflitto recente.

Zakariya Zubeidi, ex prigioniero palestinese ed ex bambino dello Stone Theatre fondato da Arna Mer-Khamis, racconta quanto sia grave la situazione attuale: “Hanno distrutto o gravemente danneggiato fra seicento e settecento case.” Molti vivono ora temporaneamente presso parenti o nelle moschee poiché non ci sono alternative sicure dove rifugiarsi dopo aver perso tutto.

Il governatore Kamal Abu Al Rub avverte riguardo alle conseguenze devastanti dell’occupazione sulla popolazione civile mentre cerca disperatamente modi per aiutare chi sta soffrendo maggiormente in questo contesto drammatico dove ogni giorno porta nuove sfide ai cittadini comuni.

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