Mercoledì scorso, il Senato ha approvato definitivamente il decreto-legge Sicurezza, un provvedimento che introduce una serie di nuovi reati e inasprisce le pene per quelli già esistenti. Questa decisione arriva dopo un iter legislativo controverso, caratterizzato da una rapida trasformazione di un disegno di legge in decreto-legge, limitando così le possibilità di discussione e modifica del testo. Il governo ha accelerato i tempi anche su altre riforme istituzionali, evidenziando la sua intenzione di presentare risultati concreti prima delle prossime elezioni regionali.
L’iter legislativo del decreto-legge Sicurezza
Il percorso che ha portato all’approvazione del decreto-legge Sicurezza è stato tutto fuorché lineare. Inizialmente concepito come disegno di legge, il provvedimento è stato trasformato dal governo in un decreto-legge dopo circa un anno e mezzo di discussioni parlamentari. Questa mossa ha suscitato polemiche poiché ha limitato la possibilità per i parlamentari di apportare modifiche significative al testo.
Durante la seduta finale al Senato, si è assistito a una compressione dei tempi per il dibattito. Le procedure accelerate adottate sia alla Camera che al Senato hanno ridotto ulteriormente le opportunità per l’opposizione e gli stessi membri della maggioranza di discutere o emendare il provvedimento. Questo approccio ha sollevato preoccupazioni riguardo alla trasparenza e alla democraticità del processo legislativo.
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Il contenuto del decreto include una ventina tra nuovi reati o aggravamenti delle pene esistenti, rispondendo a pressioni politiche crescenti sulla sicurezza pubblica. Tuttavia, nonostante l’urgenza mostrata dal governo nell’approvare questo provvedimento, rimane da vedere quale impatto avrà realmente sulla criminalità nel paese.
La fretta del governo sulle riforme istituzionali
Negli ultimi mesi si è notata una certa urgenza da parte dell’esecutivo nel portare avanti diverse riforme istituzionali oltre al decreto Sicurezza. Tra queste spiccano quelle relative alla giustizia e all’elezione diretta del presidente del Consiglio . Queste iniziative sono state accelerate probabilmente in vista delle elezioni regionali previste a novembre 2025.
La presidente Giorgia Meloni insieme ai suoi alleati Matteo Salvini e Antonio Tajani sembra intenzionata a utilizzare questi progetti come argomenti chiave nella campagna elettorale imminente. La necessità politica appare evidente: con le elezioni regionali alle porte, ogni risultato tangibile potrebbe influenzare significativamente l’esito della competizione politica.
Inoltre c’è anche la questione della riforma dell’autonomia differenziata che non è andata a buon fine; questo fallimento potrebbe mettere Meloni nella posizione scomoda di dover dimostrare ai propri sostenitori progressi concreti dopo due anni dall’inizio della sua amministrazione senza aver realizzato importanti cambiamenti normativi.
Differenze tra premierato e riforma della giustizia
Le due principali questioni legislative attualmente sul tavolo – la riforma relativa al premierato ed quella sulla giustizia – presentano differenze sostanziali nel loro avanzamento politico. Mentre sul premierato sembra esserci meno urgenza immediata data la mancanza attuale dei numeri necessari per passarlo attraverso entrambe le camere con una maggioranza qualificata richiesta dalla Costituzione italiana; sulla giustizia invece ci sono stati passi più decisi verso l’approvazione definitiva.
Meloni avrebbe condiviso con alcuni ministri l’intenzione strategica di posticipare eventuali votazioni sul premierato fino agli ultimi mesi della legislatura corrente; ciò consentirebbe eventualmente al governo attuale o ad uno futuro guidato dalla destra d’assorbire eventuali effetti negativi derivanti da un possibile referendum confermativo sfavorevole prima delle prossime politiche generali nel 2027.
Questa strategia riflette anche timori interni rispetto all’accettabilità popolare dell’idea stessa dell’elezione diretta; sondaggi recentissimi indicano infatti che vi sia scetticismo diffuso sull’argomento tra gli italiani.
Procedura accelerata nella commissione Affari costituzionali
Nella commissione Affari costituzionali del Senatore Alberto Balboni , sono state adottate misure particolarmente incisive per velocizzare i lavori relativi alla riforma della giustizia; ciò include l’utilizzo dello strumento noto come “canguro”, utilizzabile normalmente solo durante fasi più avanzate dei dibattiti parlamentari ma mai prima d’ora applicabile nelle commissioni stesse.
Questo metodo consente infatti ai membri presenti in aula di escludere gran parte degli emendamenti simili tramite votazioni selettive su pochi specificamente scelti dai relatori stessi – generando fortissime contestazioni dalle opposizioni politiche presenti nei banchi senatoriali.
La decisione finale sull’utilizzo dello strumento “canguro” è stata presa dopo accese discussioni interne fra partiti politici: Forza Italia insieme a Fratelli d’Italia ed Lega hanno espresso voto favorevole mentre PD, M5S ed Italia Viva hanno manifestatamente dissentito contro tale procedura considerandola anomala rispetto alle prassi consolidate finora seguite dall’aula stessa.
Sebbene questa forzatura possa sembrare utile nell’immediato contesto politico italiano dove si cerca sempre maggiore rapidità nelle approvazioni legislative, essa solleva interrogativi riguardo alla legittimità democratica dei processi decisionali intrapresi dal governo stesso.