La recente decisione di dimettersi da parte dei tre membri della Commissione d’inchiesta dell’ONU sulla situazione dei diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati e in Israele ha sollevato un acceso dibattito sull’imparzialità delle istituzioni internazionali. Navi Pillay, Chris Sidoti e Miloon Kothari hanno annunciato che lasceranno i loro incarichi entro l’autunno del 2025, in un contesto già segnato da accuse di parzialità e antisemitismo. Questo evento mette in discussione l’efficacia del Consiglio per i Diritti Umani nel gestire conflitti complessi come quello israelo-palestinese.
Le dimissioni senza precedenti
Le dimissioni dei membri della Commissione rappresentano una novità significativa nella storia delle commissioni permanenti delle Nazioni Unite. La figura di Miloon Kothari è emersa al centro delle polemiche dopo aver rilasciato dichiarazioni controverse riguardo all’influenza della lobby israeliana sui media e sulle organizzazioni non governative. Queste affermazioni hanno suscitato reazioni immediate, con governi come quelli degli Stati Uniti, Canada, Germania e Regno Unito che hanno chiesto le sue dimissioni definendole offensive e cariche di pregiudizi antiebraici.
In risposta alle critiche, la presidente della Commissione Navi Pillay ha difeso Kothari sostenendo che le sue parole fossero state estrapolate dal contesto. Tuttavia, la sua posizione critica verso Israele è ben nota; ha descritto il paese come uno “Stato di apartheid“, alimentando ulteriormente il sospetto sulla neutralità dell’intero organismo. Chris Sidoti ha cercato di minimizzare le accuse dicendo che erano strumentalizzate per silenziare le critiche a Israele. Questo scambio accende una discussione più ampia su cosa significhi realmente essere imparziali nel contesto internazionale.
Leggi anche:
Critiche all’imparzialità dell’ONU
Il lavoro della Commissione presieduta da Navi Pillay è stato oggetto di numerose critiche per presunta parzialità ed approcci selettivi nelle indagini sui diritti umani nei territori occupati. Gli esperti sostengono che l’organismo sia diventato uno strumento politico piuttosto che un ente neutro dedicato alla giustizia sociale. Le relazioni prodotte dalla commissione sono spesso percepite come politicizzate; invece di chiarire situazioni complesse o promuovere soluzioni praticabili, si sono concentrate su accuse unilaterali.
Le modalità con cui vengono nominati i membri delle commissioni rimangono poco trasparenti; spesso si tratta di figure con esperienze legali o accademiche ma prive del necessario distacco geopolitico richiesto per affrontare questioni così delicate. Questa mancanza di neutralità contribuisce a trasformare il Consiglio per i Diritti Umani in una piattaforma dove prevalgono scontri ideologici piuttosto che dialoghi costruttivi.
La paralisi istituzionale dell’ONU
Nonostante le dimissioni annunciate dai membri della Commissione ONU su Israele e Palestina, l’organismo rimarrà formalmente attivo fino alla nomina dei nuovi commissari. Questa situazione evidenzia la lentezza burocratica dell’ONU nell’affrontare crisi interne significative mentre continua a operare in scenari internazionali complessi.
Il Consiglio ha aperto le candidature per nuovi commissari con termine fissato al 31 agosto 2025; tuttavia non ci sono certezze riguardo alla possibilità di trovare candidati capaci di soddisfare tutte le diverse sensibilità geopolitiche coinvolte nella questione israelo-palestinese.
Questa crisi non è isolata: riflette problemi più ampi all’interno del sistema ONU stesso, considerata da molti inefficace nel rispondere alle sfide globali contemporanee. Dalle guerre dimenticate alle risoluzioni mai applicate fino ad arrivare a rapporti privi d’effetti concreti sul terreno: l’ente sembra incapace d’intervenire efficacemente nelle situazioni più delicate.
Nel caso specifico del conflitto tra Israele e Palestina, anziché fungere da mediatore imparziale capace d’indirizzare verso una soluzione equa condivisa dalle parti coinvolte, l’ONU rischia invece d’alimentare ulteriormente diffidenze reciproche attraverso posizioni percepite come sbilanciate o politicizzate.