Il 18 marzo 2003, Saddam Hussein ordinò a suo figlio Qusay di prelevare un miliardo di dollari dalla Banca centrale irachena. Questo evento si colloca nel contesto dell’imminente invasione americana dell’Iraq e ha sollevato interrogativi sulla legittimità del gesto. Mentre due terzi della somma sono stati recuperati dalle forze statunitensi, i restanti 350 milioni risultano ancora scomparsi, alimentando la narrazione che definisce questo episodio come “la più grande rapina della storia”. Ma è stata davvero una rapina?
Il contesto: la seconda guerra del Golfo
La “rapina” avvenne durante la Seconda guerra del Golfo, nota anche come guerra in Iraq. Nel marzo 2003, gli Stati Uniti d’America, supportati dal Regno Unito e da altri alleati, invasero l’Iraq governato da Saddam Hussein. Questo non era il primo conflitto tra l’Iraq e gli Stati Uniti; già nel 1990 il dittatore iracheno aveva invaso il Kuwait dando origine alla Prima guerra del Golfo. In quell’occasione una coalizione internazionale guidata dagli americani costrinse le forze irachene a ritirarsi.
Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, le tensioni aumentarono ulteriormente. Gli Stati Uniti accusarono l’Iraq di sostenere attività terroristiche e possedere armi di distruzione di massa. Nonostante queste affermazioni siano state successivamente smentite da vari rapporti internazionali che non trovarono prove concrete delle armi dichiarate da Washington, l’amministrazione Bush decise comunque per l’invasione.
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L’operazione militare iniziò ufficialmente il mattino del 20 marzo 2003 nonostante le proteste globali contro la guerra. Molti critici sostenevano che motivazioni economiche legate al petrolio iracheno fossero alla base della decisione degli Stati Uniti.
Come avvenne il prelievo
Il prelievo dei fondi dalla Banca centrale si verificò nella serata del 18 marzo mentre già si profilava l’attacco americano all’Iraq. Qusay Hussein giunse presso la banca con un biglietto manoscritto firmato dal padre che autorizzava il ritiro della somma ingente in contante: un miliardo di dollari rappresentavano circa un quarto delle riserve monetarie nazionali.
L’operazione fu condotta alla presenza dello stesso Qusay e altri funzionari governativi senza alcuna opposizione apparente. I soldi vennero caricati su tre camion diretti verso una destinazione sconosciuta al momento dell’operazione.
Nei mesi successivi all’invasione americana furono recuperati circa 650 milioni dei fondi sottratti; questi erano stati trovati nascosti in uno dei palazzi utilizzati da Uday Hussein, fratello minore di Qusay e anch’egli coinvolto nelle dinamiche politiche sotto regime paterno. Tuttavia i restanti 350 milioni rimasero dispersi senza traccia né utilizzo noto da parte dei membri della famiglia Hussein dopo la caduta del regime: sia Uday che Qusay furono uccisi in un raid aereo nel luglio dello stesso anno mentre Saddam fu catturato nel dicembre seguente.
Fu davvero una rapina?
La questione se considerare o meno questo atto come una vera rapina è complessa e dibattuta tra storici ed esperti militari. Sebbene spesso venga etichettato come “la più grande rapina della storia”, va notato che non ci fu alcun assalto violento tipico delle rapine tradizionali; piuttosto si trattò dell’esecuzione formale di un ordine governativo emesso dal presidente iracheno stesso.
Saddam era riconosciuto come capo legittimo dello Stato con poteri quasi illimitati sul denaro pubblico custodito dalla Banca centrale nazionale; quindi tecnicamente parlando potrebbe essere visto come autorizzato a disporre delle risorse finanziarie disponibili per affrontare situazioni emergenziali o strategiche durante i preparativi per l’invasione imminente.
Le motivazioni dietro questa operazione rimangono oscure: secondo alcune fonti americane sembrerebbe fosse intenzionato a fuggire all’estero portando con sé i fondi rubati; altre teorie suggeriscono invece volesse utilizzare quel denaro per finanziare eventuali resistenze contro le forze occupanti statunitensi dopo lo scoppio delle ostilità armate in Iraq.