“In compagnia dei lupi”, diretto da Neil Jordan, compie oggi quarant’anni dalla sua uscita nelle sale statunitensi. Questo film, che ha sorpreso molti per la sua originalità e profondità, continua a essere un punto di riferimento nel genere fantasy. Con un budget limitato e una sceneggiatura ispirata ai racconti di Angela Carter, il film riesce a mescolare elementi gotici e inquietanti in una narrazione che esplora temi complessi legati alla femminilità e alla crescita.
Un’opera complessa con radici profonde
Affrontare “In compagnia dei lupi” significa immergersi in un’opera cinematografica densa di significato. Il film si presenta come una sorta di scatola cinese: sotto le sembianze del fantasy degli anni ’80 si nascondono tematiche più complesse. La genesi del progetto è stata tutt’altro che semplice; ispirato dalla raccolta “La camera di sangue” della scrittrice Angela Carter, il film affronta paure primordiali attraverso la lente delle fiabe classiche.
Neil Jordan ha dovuto affrontare diverse sfide durante la produzione, non ultima quella economica: con soli 2 milioni di dollari a disposizione, ha creato scenografie suggestive utilizzando risorse limitate. Nonostante ciò, il risultato finale è stato sorprendente; “In compagnia dei lupi” riesce a trasmettere una sensazione palpabile di realismo grazie al suo stile minimalista e inquietante. Fin dai primi minuti, lo spettatore viene catturato in un mondo dove sogno e realtà si intrecciano senza soluzione di continuità.
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La protagonista Rosaleen vive nel XVII secolo in una brughiera inglese popolata da creature magiche e mannari. Questo scenario fantastico richiama le atmosfere delle fiabe tradizionali ma le conferisce anche nuove sfumature attraverso i temi dell’adolescenza e della scoperta della propria identità.
Tematiche femminili nella narrazione
Angela Carter ha fornito al film non solo materiale narrativo ma anche spunti critici su questioni femminili fondamentali. La figura iconica di Cappuccetto Rosso emerge come simbolo della violenza subita dalle donne nel passaggio dall’infanzia all’età adulta. Le sue storie sono intrise non solo di paura ma anche di desiderio e passione.
Carter insieme a Jordan hanno lavorato per trasformare queste idee in immagini potenti sullo schermo; questo approccio differisce notevolmente dal fallimento commerciale de “La storia infinita”, sempre dello stesso periodo. Accanto alla giovane protagonista troviamo Angela Lansbury nei panni della “Signora in Giallo”, figura materna che avverte Rosaleen sui pericoli imminenti; questa dinamica rappresenta la ribellione giovanile contro norme sociali oppressive legate all’identità femminile.
Nel corso del film i mannari diventano metafore complesse: rappresentano non solo creature malvagie ma riflettono anche gli aspetti più oscuri dell’umanità stessa. La mascolinità viene presentata attraverso personaggi ambigui che incutono fascino ma allo stesso tempo minaccia.
Un viaggio tra horror ed estetica fiabesca
Neil Jordan recupera elementi tipici dell’horror d’autore degli anni ’50-’60 per creare qualcosa di unico nel panorama cinematografico degli anni ’80. A differenza delle produzioni contemporanee più commerciali come “Un lupo mannaro americano a Londra”, qui ogni elemento visivo porta con sé significati latenti legati alle paure collettive della società.
Il racconto si snoda attorno ai divieti imposti alle giovani donne: restare sul sentiero tracciato o fidarsi degli uomini sono avvertimenti ricorrenti nella narrativa fiabesca tradizionale. Tuttavia, mentre Cappuccetto Rosso rimane ancorata al suo ruolo iniziale fino ad un certo punto, Rosaleen evolve verso qualcosa oltre il semplice archetipico sacrificio femminile previsto dalle storie classiche.
L’evoluzione del personaggio principale simboleggia quindi una rivendicazione dell’indipendenza rispetto ai canoni tradizionali delle favole; questo cambiamento rende il film ancora rilevante oggi poiché tocca tematiche universali riguardanti crescita personale ed emancipazione sociale.
L’eredità duratura del capolavoro
“In compagnia dei lupi” presenta una struttura narrativa apparentemente caotica arricchita da creature fantastiche portatrici sia d’innocenza sia violenza reciproca tra esseri umani ed esseri mitologici. Questa dualità rende evidente quanto possa essere profondo il messaggio insito nell’opera: è pedagogia così come psicanalisi visiva su luci ed ombre esistenziali.
Le scelte stilistiche adottate nella scenografia da Anton Furst insieme ai costumi elaborati contribuiscono ulteriormente ad alimentare quell’atmosfera onirica tanto caratteristica del racconto originale delle favole europee.
Nonostante le difficoltà commerciali iniziali – riuscendo appena a coprire i costi – “In compagnia dei lupi” continua ad influenzare generazioni successive sia nel cinema indipendente sia nelle opere mainstream grazie alla sua capacità unica d’affrontare argomenti complessi attraverso forme artistiche innovative.
Registi contemporanei come Guillermo Del Toro o Matteo Garrone devono molto all’eredità lasciata da questo lavoro pionieristico; nessuno però sembra aver raggiunto finora quel livello profondo d’esplorazione psicologica presente nell’opera originale firmata Neil Jordan.
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