Il 16 luglio 2025, l’Inps ha pubblicato il suo rapporto annuale, fornendo un’analisi approfondita dello stato del sistema pensionistico in Italia. Con una spesa totale che supera i 350 miliardi di euro e una popolazione sempre più anziana, il documento offre spunti importanti per comprendere le sfide future del settore.
Panoramica sul rapporto Inps
Il rapporto dell’Inps è composto da quattro capitoli principali: mercato del lavoro, sostegno alle famiglie, previdenza e altre prestazioni sociali. Il capitolo dedicato alla previdenza è particolarmente significativo poiché evidenzia la crescente spesa per le pensioni nel bilancio pubblico italiano. Nel 2024, la spesa per le pensioni ha raggiunto circa 355 miliardi di euro, confermandosi come la voce principale delle uscite statali.
Nel contesto attuale, l’Italia conta oltre 16 milioni di pensionati; tra questi, una leggera maggioranza è rappresentata da donne. Le prestazioni erogate si suddividono in circa 21 milioni totali: di queste, l’80% proviene dal capitolo previdenziale e il restante dal capitolo assistenziale. È fondamentale distinguere tra queste due categorie: le prestazioni previdenziali sono quelle a cui i lavoratori hanno diritto in base ai contributi versati nel corso della loro vita lavorativa; al contrario, le prestazioni assistenziali non richiedono alcun collegamento con il sistema contributivo.
Questa distinzione diventa cruciale quando si analizzano i redditi medi delle pensioni italiane. Il valore medio lordo della pensione si attesta a circa 1.252 euro mensili; tuttavia, questo dato può risultare fuorviante se non contestualizzato con i diversi tipi di prestazione ricevuta dai beneficiari.
I redditi delle pensioni italiane
Analizzando più nel dettaglio i dati sui redditi da pensione medi in Italia, emerge che quelli provenienti dalle sole prestazioni previdenziali ammontano a circa 1.444 euro mensili, mentre quelli assistenziali scendono a soli 502 euro al mese. Le differenze all’interno delle varie categorie sono significative: ad esempio, le pensioni d’anzianità hanno un valore medio pari a circa 2.133 euro mensili, mentre quelle di vecchiaia arrivano solo a poco più di mille euro . Inoltre, ci sono anche trattamenti specifici come quello per invalidità che si attestano su valori superiori rispetto alle tradizionali pensioni d’anzianità.
Un altro aspetto rilevante riguarda l’evoluzione dei redditi da pensione negli ultimi ventidue anni: mentre quelli più elevati hanno visto un incremento costante, quelli inferiori sono rimasti pressoché stabili nel tempo, contribuendo così a una stagnazione generale del potere d’acquisto dei beneficiari.
L’emigrazione dei pensionati italiani
Negli ultimi anni si è registrato un fenomeno interessante riguardante l’emigrazione dei pensionati italiani verso paesi esteri dove possono beneficiare di condizioni fiscali più favorevoli e costi della vita inferiori rispetto all’Italia stessa. Attualmente, quasi 230mila persone hanno trasferito la propria residenza all’estero dopo aver raggiunto la maturità economica offerta dalla loro carriera lavorativa italiana.
Tra questi vi sono ben oltre trentasettemila individui che hanno trascorso tutta la loro vita professionale in Italia prima di decidere di emigrare al momento del ritiro dal lavoro; questo numero rappresenta un aumento significativo rispetto ai cinquantamila emigranti registrati nel lontano duemila tre.
Le mete preferite dai nostri connazionali includono principalmente Spagna e Portogallo, dove gli incentivi fiscali attraggono molti ex-lavoratori desiderosi anche solo temporaneamente o definitivamente di abbandonare il bel paese alla ricerca magari anche solo dell’avventura o semplicemente per godersi una vita serena lontana dalle preocccupazioni quotidiane italiane.
Pensionamento anticipato e criticità
Una questione centrale riguarda l’età media effettiva alla quale gli italiani accedono alla pensione, che attualmente si attesta intorno ai sessantaquattro anni, contro i cinquantotto registrati venticinque anni fa . Sebbene ci sia stata quindi un’evidente crescita nell’età effettiva d’accesso al trattamento previdenziale, resta comunque inferiore rispetto ai requisiti previsti dalla legge vigente fissata ora a settantasette anni sia per uomini sia donne quando parliamo invece della cosiddetta “pensione d’anzianità”.
Questo tipo particolare permette agli individui con sufficiente anzianità contributiva – indipendentemente dall’età anagrafica – di andare in quiescenza prima ancora dell’età stabilita dalla normativa ordinaria, creando però problematiche legate all’equilibrio finanziario complessivo dell’intero sistema poiché ogni accesso prematuro comporta inevitabilmente maggior oneri economici sulle casse pubbliche già gravate da debito elevato ed esigenze crescenti dovute appunto all’invecchiamento demografico generale degli italiani stessi.
La continua introduzione ed applicazione disordinata degli strumenti volti ad incentivare questa modalità rischia quindi seriamente di compromettere la sostenibilità futura dello stesso sistema, senza considerare eventualissime modifiche legislative dettate solamente dall’urgenza politica momentanea piuttosto che da una realistica necessaria programmazione strategica mirata verso obiettivi chiari e definitivi.
Disuguaglianza nei trattamenti pensionali
Infine, merita attenzione particolare anche il tema relativo alle disuguaglianze presenti tra generi nella distribuzione delle risorse pensionali stesse. Secondo quanto riportato infatti, nel corso degli ultimi cinque anni, l’età media effettiva alla quale accedono alle rispettive forme retributive sembra aver superato quella maschile, giungendo addirittura ad essere superiore fino quasi a diciassette mesi.
Tale situazione deriva principalmente dalla progressiva abolizione di regimi agevolativi precedentemente esistenti come “Opzione donna”, ma soprattutto dall’introduzione sempre maggiore di meccanismi correlativi fra versamenti effettuati durante la carriera professionale e aspettative vitalizie finalizzati a ottenere importi adeguati onde evitare situazioni disagiate post-pensionistiche.
Attualmente, gli uomini percepiscono mediamente somme superiori alle colleghe femminili, pari quasi al trentasei percento; ciò dimostra chiaramente quanto ancora ci sia bisogno di interventistiche politiche efficaci affinché possano finalmente colmare i gap esistenti, garantendo equitabilità e diritti fondamentali a tutti coloro che abbiano contribuito allo sviluppo sociale ed economico del Paese intero.