Un secolo dopo il processo Scopes: l’evoluzione e la divisione culturale negli Stati Uniti

A cento anni dal processo Scopes, gli Stati Uniti restano divisi sull’insegnamento dell’evoluzione, mentre in Europa la questione è stata risolta. L’articolo analizza le radici storiche e l’accettazione attuale.
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A cento anni dall’inizio del famoso processo Scopes, che ha messo in discussione l’insegnamento dell’evoluzione nelle scuole americane, gli Stati Uniti continuano a essere un paese diviso su questo tema cruciale. Mentre in Europa la questione è stata ampiamente risolta, negli USA le opinioni sull’evoluzione rimangono polarizzate. Questo articolo esplora le radici storiche di questa divisione e analizza i dati recenti sull’accettazione dell’evoluzione da parte della popolazione americana.

Il processo Scopes: un evento storico

Nel luglio del 1925, John Thomas Scopes, un insegnante di Dayton nel Tennessee, fu accusato di aver violato il Butler Act. Questa legge proibiva l’insegnamento dell’evoluzione nelle scuole pubbliche dello Stato. Il caso attirò una notevole attenzione mediatica e divenne simbolo di una battaglia più ampia tra scienza e religione. Durante il processo, si discusse se fosse legittimo punire gli insegnanti per aver trattato argomenti scientifici come l’evoluzione.

Il verdetto fu chiaro: Scopes fu dichiarato colpevole e multato di 100 dollari . Tuttavia, ciò che emerse da questo caso non fu solo la condanna di un singolo insegnante ma anche una frattura culturale profonda all’interno della società americana riguardo alla comprensione scientifica della vita umana.

Mentre negli Stati Uniti si sviluppava questo dibattito acceso sulla teoria evolutiva proposta da Charles Darwin, in Europa molti paesi avevano già accettato queste idee come parte integrante della loro educazione scientifica. La differenza tra le due sponde dell’Atlantico è diventata evidente nel corso degli anni successivi al processo Scopes.

L’accettazione dell’evoluzione negli Stati Uniti oggi

Secondo i dati del Pew Research Center del 2020, solo il 64% degli americani accetta che “gli esseri umani e gli altri esseri viventi si siano evoluti nel tempo”. In confronto, il 73% degli inglesi riconosce la possibilità di condividere un antenato comune con gli scimpanzé. Questo divario rappresenta milioni di persone convinte che le teorie darwiniane siano infondate o addirittura false.

Negli ultimi decenni c’è stata una stagnazione nell’accettazione delle teorie evolutive negli Stati Uniti; dal 1985 al 2010 i sondaggi hanno mostrato risultati quasi equamente divisi tra coloro che accettavano o rifiutavano l’evoluzione. Recentemente però ci sono stati segnali positivi: dal 2010 a oggi la percentuale degli adulti americani favorevoli all’idea che “gli esseri umani si siano sviluppati da specie animali precedenti” è aumentata dal 40% al 54%.

Questa crescita può essere attribuita a diversi fattori quali un aumento delle iscrizioni ai corsi universitari scientifici e una maggiore alfabetizzazione scientifica nella popolazione generale.

Le radici psicologiche della negazione

La resistenza all’accettazione dell’evoluzione è spesso influenzata dalle credenze religiose fondamentaliste presenti nella società americana. Ricerche recenti suggeriscono che tali convinzioni possono operare secondo meccanismi psicologici complessi noti come ragionamento motivato; ciò significa interpretare selettivamente informazioni per confermare credenze preesistenti piuttosto che valutare obiettivamente prove contrarie.

Un’indagine condotta su oltre novecento partecipanti ha evidenziato correlazioni tra fede nelle fake news e tratti come dogmatismo religioso ed incapacità ad adottare pensiero critico analitico. Negli ambienti religiosi fortemente conservatori – specialmente tra i Battisti del Sud – circa il 61% crede fermamente nella Bibbia come parola letterale di Dio; questa convinzione alimenta lo scetticismo nei confronti delle teorie evolutive proposte dalla comunità scientifica.

Studi neuroscientifici hanno dimostrato inoltre che individui con fortissime convinzioni religiose tendono ad avere minore attività cerebrale nelle aree responsabili per pensiero critico e flessibilità cognitiva; ciò li rende meno propensi a cambiare idea quando esposti a nuove informazioni contraddittorie rispetto alle loro credenze consolidate.

La situazione internazionale: confronto con l’Europa

A differenza degli Stati Uniti dove la questione evolutiva continua ad essere oggetto di dibattito politico ed educativo acceso, in Europa molte istituzioni religiose hanno trovato modi per integrare scienza e fede senza conflitti significativi. Già alla fine del XIX secolo molti ecclesiastici britannici iniziarono ad abbracciare le idee evolutive senza percepirle come minacce alla propria fede religiosa.

L’anglicanesimo britannico ha storicamente cercato vie medie fra tradizione religiosa ed innovazioni intellettuali; leader ecclesiastici hanno spesso accolto scoperte scientifiche considerandole manifestazioni dei metodi creativi divini piuttosto che contraddizioni alle sacre scritture.

In Italia così come nel resto d’Europa ci sono stati tentativi simili volti a promuovere dialoghi costruttivi fra comunità religiose ed esperti scientifici affinché possano coesistere armoniosamente senza conflitti ideologici marcati.

Questo approccio diverso potrebbe servire da modello per affrontare questioni simili anche negli States dove ancora oggi proposte legislative anti-evolutionistiche vengono presentate regolarmente nei vari livelli governativi statali.

Le esperienze europee dimostrano quindi quanto sia possibile trovare punti d’incontro fra diverse visioni sul mondo pur mantenendo salde le proprie identità culturali o spiritualità individuale.