Pozzi petroliferi in Irpinia: nuove scoperte sul sottosuolo e la sismicità della regione

Lo studio di undici pozzi petroliferi in Irpinia rivela importanti informazioni sulla circolazione dei fluidi sotterranei e le loro relazioni con l’attività sismica, offrendo nuove prospettive geologiche.
Pozzi petroliferi in Irpinia: nuove scoperte sul sottosuolo e la sismicità della regione - Socialmedialife.it

Undici pozzi petroliferi perforati tra il 1961 e il 1999 in Irpinia offrono oggi un’importante opportunità di studio per comprendere meglio le dinamiche del sottosuolo. Questi pozzi, definiti “sterili” dal punto di vista minerario, hanno attraversato formazioni rocciose simili a quelle della Val d’Agri e del Sannio, aree storicamente ricche di giacimenti di idrocarburi. Sebbene non abbiano prodotto risorse petrolifere significative, la loro profondità – che supera i 5000 metri in alcuni casi – ha permesso ai geologi di analizzare complessi sistemi idrogeologici e tettonici.

Seguici su Google News

Ricevi i nostri aggiornamenti direttamente nel tuo feed di
notizie personalizzato

Seguici ora

L’analisi dei dati geologici

Un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ha esaminato i dati raccolti durante la perforazione dei pozzi. Lo studio si inserisce in una ricerca più ampia che esplora come le variazioni idrologiche influenzino le deformazioni crostali nelle zone attive dal punto di vista sismico. Le nuove osservazioni hanno rivelato informazioni cruciali sulla circolazione dei fluidi sotterranei, evidenziando relazioni tra queste dinamiche e l’attività sismica nella regione.

Le analisi hanno mostrato che la pressione dei fluidi nel sottosuolo è prevalentemente idrostatica. Questo significa che essa corrisponde alla pressione esercitata da una colonna d’acqua dalla superficie fino al punto misurato nel pozzo. La presenza costante della pressione idrostatica suggerisce una continuità nei sistemi rocciosi studiati, indicando che i fluidi possono muoversi attraverso microporosità senza interruzioni dovute a barriere permeabili.

I serbatoi d’acqua nell’Appennino meridionale

Per contestualizzare queste osservazioni è fondamentale comprendere il sistema geologico dell’Irpinia. Qui esistono due principali sistemi rocciosi permeabili: uno superficiale composto da rocce carbonatiche fratturate, come quelle presenti nei Monti Picentini; l’altro profondo, costituito anch’esso da rocce carbonatiche ma sepolto sotto strati impermeabili.

Il sistema superficiale raccoglie acqua piovana alimentando sorgenti con portate notevoli; mentre nel sistema profondo avviene un’interazione tra fluidi naturali generati dalla crosta terrestre e quelli acquosi provenienti dai processi sedimentari. Un importante strato impermeabile formato principalmente da argilla sigilla questi accumuli profondi impedendo ai fluidi di risalire verso livelli superiori.

Questi due serbatoi sono interconnessi: durante periodi piovosi il peso del sistema superficiale aumenta influenzando quello profondo; viceversa durante periodi secchi si verifica una diminuzione del peso con effetti sulle strutture tettoniche circostanti.

Nuove scoperte sui meccanismi sotterranei

L’analisi condotta sui pozzi ha rivelato condizioni idrostatiche estese anche a strati rocciosi considerati poco permeabili come argille o calcari-argillosi. Ciò implica che l’acqua piovana potrebbe seguire percorsi più complessi nel sottosuolo rispetto alle ipotesi precedenti.

Inoltre, gli studi indicano la possibilità che i fluidi possano accumularsi in condizioni particolari all’interno delle formazioni profonde o risalire verso la superficie mantenendo sempre pressioni idrostatiche stabili. Alcuni intervalli rocciosi presentano sovrapressioni legate a faglie significative nella storia geologica della regione.

Queste scoperte pongono interrogativi su come tali meccanismi possano influenzare eventi sismici locali ed evidenziano l’importanza delle interrelazioni fra diversi tipi di fluido presenti nel sottosuolo appenninico.

Verso una comprensione integrata

Lo studio offre nuove prospettive sui processori naturali legati alla circolazione dei fluidi sotterranei nell’Appennino meridionale ed invita ad approcci multidisciplinari per approfondire ulteriormente questa tematica complessa. I dati chimici raccolti dai pozzi saranno confrontati con quelli già notissimi delle sorgenti termali locali per ottenere informazioni dettagliate sul percorso ascendente dei fluidi dalle zone profonde fino alla superficie terrestre.

I risultati ottenuti dimostrano come quei pozzi un tempo considerati inutilizzabili dall’industria petrolifera possano invece fornire informazioni preziose per lo studio del nostro pianeta e per migliorare la comprensione degli eventi sismici nella regione irpina.