Giorgia Meloni è pronta a compiere un passo decisivo riguardo alla legge sulla provincia autonoma di Trento, che potrebbe segnare un punto cruciale nel dibattito sul terzo mandato per i presidenti delle regioni italiane. La premier intende impugnare la normativa locale, seguendo le indicazioni della Corte Costituzionale che ha già stabilito l’immediato divieto di terzo mandato per le regioni a statuto ordinario. Tuttavia, rimane aperto il dibattito su come questa decisione possa influenzare le province a statuto speciale.
Il contesto della questione
La scadenza per presentare il ricorso contro la legge trentina è fissata per domani, ma poiché cade di domenica, il Consiglio dei ministri avrà tempo fino a lunedì per procedere. Le motivazioni fornite dalla Consulta sul caso campano non lasciano spazio ad ambiguità: i presidenti delle regioni ordinarie non possono essere rieletti per un terzo mandato. Tuttavia, esiste una certa incertezza riguardo alle province autonome e alla loro possibilità di mantenere margini di autonomia più ampi rispetto alle altre regioni.
Il governo sta monitorando attentamente la situazione e, secondo alcune fonti interne, Meloni ha invitato i suoi ministri del partito Fratelli d’Italia a rimanere presenti durante le discussioni relative al ricorso. Questo suggerisce che l’impugnativa potrebbe generare tensione all’interno della maggioranza governativa, in particolare con la Lega Nord che si oppone all’introduzione di ulteriori restrizioni sui mandati elettivi.
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Le dinamiche interne al governo
Il ministro competente su questo tema è Roberto Calderoli della Lega Nord. Nei giorni scorsi ha espresso riserve sull’opportunità del ricorso durante un’interrogazione parlamentare da parte dell’opposizione. Calderoli ha dichiarato di voler rispettare comunque la decisione del Consiglio dei ministri e dovrà redigere una relazione dettagliata sull’argomento prima dell’incontro previsto.
Le posizioni potrebbero trovare supporto anche tra i membri del governo appartenenti a Forza Italia; Maria Alberti Casellati, ministra per le Riforme istituzionali, sembra intenzionata ad esplorare se anche le province autonome debbano seguire le stesse regole nazionali o se possano avere maggiore libertà nella gestione dei propri mandati elettivi.
La situazione attuale nel Consiglio provinciale trentino evidenzia già divisioni significative: alcuni consiglieri hanno votato favorevolmente alla norma “Salva-Fugatti” pur essendo membri dello stesso partito Fratelli d’Italia e successivamente hanno deciso di lasciare il gruppo politico. Inoltre, c’è stata una certa riluttanza da parte dei meloniani locali ad opporsi apertamente all’iniziativa referendaria proposta dalle opposizioni contro questa norma controversa.
L’attesa decisione sul Friuli-Venezia Giulia
Un altro governatore coinvolto nella questione è Massimiliano Fedriga del Friuli-Venezia Giulia; anch’egli sta affrontando scenari simili legati al suo secondo mandato e guarda con attenzione agli sviluppi futuri relativi al terzo incarico previsto non prima della primavera 2028. Fedriga potrebbe considerare dimissioni anticipate come strategia politica prima del termine stabilito dal regolamento elettorale nazionale.
Questa manovra sarebbe simile ai piani precedentemente valutati dal presidente campano Vincenzo De Luca ma comporterebbe rischiose incognite politiche ed elettorali sia in termini pratico-organizzativi sia rispetto alle reazioni degli altri attori politici coinvolti nel panorama regionale italiano.
Le recentissime sentenze della Corte Costituzionale rappresentano inoltre un ulteriore ostacolo ai tentativi delle province specialistiche: esse ribadiscono l’importanza dell’uniformità nelle norme relative ai diritti politici fondamentali come quello dell’elettorato passivo. In questo contesto complesso e delicato sarà fondamentale trovare soluzioni politiche condivise entro tempi brevi poiché ci si avvicina alle prossime tornate elettorali regionali dove gli schieramenti devono presentarsi coesi ed efficaci.