Gisellə, la nuova produzione di Nyko Piscopo, si propone di reinterpretare un classico del balletto romantico. La compagnia Cornelia affronta il tema della dualità tra eros e thanatos, cercando di smantellare i codici tradizionali attraverso una visione performativa che riflette le istanze attuali. Tuttavia, l’esecuzione presenta delle lacune che ne limitano l’impatto culturale e visivo.
Un tentativo di innovazione nel balletto
Reinventare un’opera storica come Giselle è una sfida complessa che richiede non solo abilità tecniche ma anche coerenza estetica. Nyko Piscopo cerca di portare avanti una propria visione dell’opera originale, proponendo un linguaggio performativo in grado di dialogare con il presente. Tuttavia, l’allestimento risulta carente sotto diversi aspetti. Sebbene ci siano buone intenzioni alla base della proposta artistica, la struttura e l’impostazione teorica non riescono a sostenere le ambizioni dichiarate.
La distinzione tra chi crea e chi esegue è fondamentale nella performance art; ogni interprete porta con sé la propria personalità e orizzonte culturale. Questo aspetto diventa cruciale nel contesto attuale dove si assiste a una confusione tra ruoli creativi ed esecutivi. La storia del balletto ha visto momenti in cui la tradizione è stata messa in discussione con risultati sia positivi che negativi. Oggi sembra esserci un arretramento rispetto a queste conquiste artistiche.
L’allestimento scenografico e musicale
Nel caso specifico di Gisellə al Teatro Carcano, lo spettacolo presenta elementi scenografici poco originali: dominano toni bianchi e grandi ventagli utilizzati per delineare i vari contesti senza particolare inventiva. Le musiche originali composte da Luca Canciello contribuiscono a creare un’atmosfera didascalica ma mancano dell’originalità necessaria per supportare il racconto coreografico.
I personaggi principali sono interpretati da Leopoldo Guadagno nei panni di Gisellə e Nicolas Grimaldi Capitello come Loys/Albrecht; entrambi offrono interpretazioni emotivamente contrastanti ma risultano incastrati in dinamiche narrative già viste altrove. Il coro accompagna questa rappresentazione con movimenti disordinati tipici delle produzioni contemporanee, mentre Eleonora Greco interpreta due ruoli distinti: Batilde prima e sacerdotessa poi.
L’inserimento video durante la danza funebre delle Willi rappresenta uno degli elementi più prevedibili dello spettacolo; questo riferimento al folklore meridionale appare forzato all’interno della narrazione complessiva.
Un messaggio sociale poco incisivo
Nyko Piscopo tenta attraverso questa versione moderna di affrontare tematiche legate all’amore, al tradimento e alla sofferenza umana contestando anche il retaggio patriarcale insito nell’opera originale. Nonostante ciò, lo spettacolo non riesce a trasformarsi in uno strumento efficace per comunicare questi messaggi sociali o artistici più ampi.
La coreografia si basa su movimenti minimali ed esasperazioni simboliche comuni nel panorama performativo novecentesco; tuttavia manca quella freschezza necessaria per attrarre il pubblico contemporaneo verso nuove esperienze artistiche significative. I gesti ripetuti senza reale innovazione rischiano così di cadere nell’ovvio piuttosto che stimolare riflessioni profonde sul tema trattato.
Il tentativo da parte della compagnia Cornelia appare quindi come coraggioso ma privo dei fondamenti necessari per realizzare pienamente le sue aspirazioni artistiche; ciò limita notevolmente l’efficacia comunicativa dello spettacolo stesso.
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