L’Irpinia, una regione storicamente soggetta a eventi sismici, sta emergendo come un importante centro di ricerca per comprendere i meccanismi del sottosuolo. Un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ha avviato uno studio approfondito su 11 pozzi petroliferi perforati tra il 1961 e il 1999. Questi pozzi, inizialmente considerati privi di valore minerario, si sono rivelati fondamentali per analizzare la dinamica dei fluidi sotterranei e la loro interazione con l’attività sismica.
L’importanza dei pozzi petroliferi
Gli esperti dell’INGV, tra cui Eleonora Vitagliano, Luigi Improta, Luca Pizzino e Nicola D’Agostino, hanno spiegato che questi pozzi raggiungono profondità superiori ai 5000 metri. Attraversando complesse falde tettoniche dell’Appennino meridionale, offrono una nuova prospettiva sul sottosuolo irpino. Grazie a queste indagini si possono osservare dettagli inediti riguardo alla circolazione dei fluidi nel terreno.
La ricerca ha permesso di raccogliere dati significativi sull’andamento delle pressioni nei fluidi sotterranei. I risultati indicano che la pressione è principalmente idrostatica; questo suggerisce l’esistenza di una rete idraulica continua all’interno della roccia. Tale continuità implica che i fluidi possano muoversi attraverso microporosità senza essere ostacolati da barriere impermeabili. Sorprendentemente, questa permeabilità è stata riscontrata anche in formazioni rocciose considerate meno permeabili, come argille e calcari-argillosi.
Leggi anche:
Fluidi sotterranei: un sistema complesso
Lo studio ha messo in luce come l’acqua piovana possa infiltrarsi nel sottosuolo attraverso percorsi molto più ampi rispetto a quanto precedentemente ipotizzato. Questa scoperta è cruciale poiché indica che le variazioni nella pressione dei fluidi possono influenzare le deformazioni crostali nelle aree attive dal punto di vista tettonico.
In Irpinia sono stati identificati due principali sistemi rocciosi permeabili: uno superficiale composto da rocce carbonatiche che raccolgono acqua piovana e uno profondo anch’esso carbonatico dove si accumulano anidride carbonica e idrocarburi naturali. Nonostante siano separati da strati impermeabili, questi due serbatoi interagiscono tra loro; durante le piogge abbondanti il peso del sistema superficiale aumenta mentre diminuisce durante i periodi secchi.
Questa alternanza può contribuire alla deformazione stagionale degli strati superficiali della crosta terrestre ed attivare faglie profonde, favorendo il rilascio di fluidi ed incrementando la micro-sismicità nella zona.
Rilevanza per la comprensione della sismicità
Un altro aspetto interessante emerso dalla ricerca riguarda gli intervalli rocciosi con sovrapressioni presenti negli strati argillosi o gessosi associati a faglie importanti. Questo legame rafforza ulteriormente l’interconnessione tra tettonica compressiva ed accumulo di fluidi nel sottosuolo irpino.
I risultati ottenuti rappresentano un passo avanti significativo nella comprensione delle dinamiche naturali legate ai terremoti nell’area appenninica italiana. I dati raccolti dai “pozzi scientifico” stimolano lo sviluppo di approcci multidisciplinari volti ad integrare informazioni geologiche con quelle geofisiche e geochimiche al fine di chiarire meglio alcuni processi complessi legati alla sismicità locale.
In futuro si prevede anche un confronto fra composizione chimica dei fluidi estratti dai pozzi profondi con quella delle sorgenti termali locali così come quella dei gas superficiali; tale analisi potrebbe fornire ulteriorissimi spunti sulla risalita dei fluidi stessi, contribuendo così ad una migliore comprensione della genesi degli eventi sismici in questa area storicamente vulnerabile.