L’attrazione britannica per Roma: tra mistero, decadenza e suggestioni estetiche

L’articolo analizza il complesso rapporto tra i letterati britannici e Roma, esplorando come la città eterna abbia ispirato ma anche confuso gli intellettuali attraverso secoli di storia e cultura.
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La fascinazione dei letterati britannici nei confronti di Roma è un tema ricco di sfumature, che si snoda attraverso secoli di storia e cultura. Dalla Piramide Cestia a Piazza di Spagna, la Capitale ha rappresentato per molti scrittori inglesi un luogo d’ispirazione ma anche un enigma difficile da decifrare. Questo articolo esplora il rapporto complesso tra gli intellettuali britannici e la città eterna, evidenziando come le loro percezioni siano state influenzate da elementi culturali e sociali.

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Il cimitero acattolico e Trastevere: due mondi a confronto

A separare il Cimitero acattolico degli inglesi dal quartiere di Trastevere scorre via Marmorata, una strada che sembra simboleggiare il divario tra due realtà molto diverse. Il cimitero, con le sue tombe storiche e i suoi monumenti silenziosi, rappresenta un luogo di riflessione per molti scrittori britannici. Tuttavia, proprio dietro l’angolo si trova Trastevere, noto per la sua vivacità ma anche per una fama sinistra che lo ha reso poco amato dagli stranieri.

I poeti romantici come Shelley, Keats e Byron giunsero a Roma attratti dalla sua grandezza storica ma mantenero sempre una certa distanza da Trastevere. Questo rione era visto come malsano a causa della sua vicinanza al Tevere ed era descritto in termini poco lusinghieri dai viaggiatori dell’epoca. Anche i francesi che tentarono di esplorarlo non trovarono molto da apprezzare; i fratelli Goncourt lo inserirono nelle loro opere con toni cupi.

Hippolyte Taine descrisse Trastevere come “irrappresentabile”, sottolineando il caos urbano e le condizioni igieniche precarie del quartiere. Le strade erano considerate “orribili” ed emanavano odori sgradevoli; questo contribuì ulteriormente alla reputazione negativa del rione agli occhi dei visitatori anglosassoni.

La scelta degli inglesi: residenza nel cuore della Capitale

In contrasto con l’immagine trascurata di Trastevere, gli inglesi optarono per sistemazioni più eleganti nel triangolo compreso tra Piazza di Spagna, Piazza del Popolo e via Sistina. Questa area divenne nota come “ghetto degli inglesi”, dove molti intellettuali trovavano ispirazione nella bellezza architettonica circostante senza dover affrontare le difficoltà quotidiane delle zone più popolari.

Gli scrittori britannici tendevano ad osservare Roma attraverso la lente del “pittoresco”, uno stile estetico emerso in Inghilterra che celebrava il disordine affascinante della natura insieme alle rovine antiche. Mario Praz ne parla ampiamente nel suo libro “La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica”, evidenziando come questa visione fosse intrisa sia d’ammirazione sia d’inquietudine.

Il pittoresco rappresentava quindi non solo un modo per apprezzare paesaggi naturali ma anche una forma artistica capace di fondere bellezza decadente con atmosfere nostalgiche. Per gli intellettuali dell’epoca victoriana come Thackeray o George Eliot, Roma appariva quasi impenetrabile; pur essendo esteticamente imponente risultava meno accessibile rispetto ad altre città italiane quali Firenze.

La visione artistica: Ruskin ed altri osservatori

John Ruskin offre uno spaccato particolarmente vivido della Capitale nelle sue annotazioni personali; descrive Roma utilizzando metafore pittoriche in cui ogni aspetto emerge grazie ai contrasti emotivi suscitati dalla città stessa. Anche se alcuni poeti romantici avevano saputo cogliere momentaneamente la bellezza malinconica dei luoghi romani – pensiamo alle impressionanti immagini evocate da Shelley o Byron – successivi autori furono meno indulgenti nei loro giudizi.

Un fattore significativo fu sicuramente quello religioso; l’intenso cattolicesimo presente in ogni chiesa o cappella poteva risultare estraneo agli intellettuali anglosassoni dell’epoca. I romantici stessi spesso proiettavano sulle loro esperienze romane molte delle proprie fantasie personali piuttosto che abbracciare completamente ciò che vedevano realmente attorno a loro.

Quando Shelley visitò il Colosseo ne rimase colpito dall’imponenza rovinosa del monumento antico; tuttavia egli percepì soprattutto ciò che quel luogo simboleggiava piuttosto che limitarsi alla mera realtà fisica dei ruderi stessi. Questo approccio riflette bene l’ambivalenza degli scrittori britannici nei confronti della capitale italiana: attratti dalla sua magnificenza storica ma incapaci di afferrarne completamente l’essenza profonda.

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