Meta, X e LinkedIn in contenzioso con l’Italia per quasi 1 miliardo di euro di IVA

Meta, X e LinkedIn contestano la richiesta dell’Italia di pagare l’IVA su servizi gratuiti, con potenziali costi vicini a 1 miliardo di euro e implicazioni fiscali per il settore tech.
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Tre delle più influenti aziende nel settore dei social media, Meta, X e LinkedIn, hanno presentato ricorso contro una richiesta del fisco italiano che chiede il pagamento dell’IVA su servizi ritenuti gratuiti. Questa controversia potrebbe comportare un esborso complessivo vicino a 1 miliardo di euro da parte delle società americane. La questione si basa su un’interpretazione innovativa della normativa fiscale italiana riguardante le iscrizioni ai siti web e l’utilizzo dei dati personali.

La posizione dell’Italia sulla tassazione delle aziende tech

Il cuore della disputa risiede nell’interpretazione italiana del concetto di iscrizione a un sito internet. Secondo l’Agenzia delle entrate, quando gli utenti creano profili gratuiti su piattaforme come Facebook o LinkedIn, in realtà stanno pagando per il servizio attraverso la cessione dei propri dati personali. Questi dati vengono poi utilizzati dalle aziende per generare profitti sia tramite pubblicità mirate che vendite dirette ai data broker.

Questa nuova visione implica che anche le iscrizioni gratuite debbano essere soggette all’imposta sul valore aggiunto . Di conseguenza, secondo i calcoli dell’Agenzia delle entrate:

  • Meta è chiamata a versare circa 887 milioni di euro;
  • X deve pagare circa 12,5 milioni di euro;
  • LinkedIn è tenuta a versare intorno ai 140 milioni di euro.

La richiesta del fisco italiano rappresenta una sfida significativa non solo per queste tre aziende ma potenzialmente anche per tutte le imprese con presenza online che offrono servizi simili.

Le implicazioni legali e fiscali della disputa

È improbabile che il ricorso presentato da Meta, X e LinkedIn si traduca immediatamente in un processo legale; tuttavia, se dovesse arrivarci ci vorrebbero anni prima di avere una sentenza definitiva. Una vittoria del fisco italiano potrebbe avere ripercussioni enormi: ogni azienda con un sito internet sarebbe obbligata a pagare l’IVA ogni volta che un utente accede al proprio profilo personale.

Se questa normativa venisse estesa oltre i confini nazionali fino ad assumere dimensione europea, si prefigurerebbe una situazione fiscale complessa difficile da quantificare. Le grandi aziende tecnologiche americane sarebbero colpite duramente poiché la monetizzazione dei loro servizi dipende fortemente dall’utilizzo dei dati degli utenti. Inoltre Reuters suggerisce che gli Stati Uniti potrebbero reagire diplomaticamente alla questione italiana nel contesto più ampio delle trattative sui dazi tra UE e USA.

Il ruolo dell’Unione Europea nella decisione finale

Prima di procedere ulteriormente nella sua richiesta fiscale nei confronti delle tre grandi aziende tech americane, l’Italia ha deciso di consultarsi con l’Unione Europea. In particolare sarà coinvolto il Comitato IVA della Commissione europea; questo organismo fornisce pareri non vincolanti ma significativi sulle questioni fiscali europee.

Se il Comitato dovesse esprimersi negativamente sull’applicazione dell’imposta sulle iscrizioni ai siti web come proposto dall’Italia, lo Stato potrebbe decidere di ritirarsi dalla sua richiesta iniziale riguardante quasi 1 miliardo d’euro dai giganti tecnologici. Un incontro cruciale è previsto all’inizio del mese prossimo dove verranno discusse queste tematiche centrali per la fiscalità digitale in Europa e oltre.