Un telescopio spaziale liquido da 50 metri: la nuova frontiera dell’astronomia

Un progetto innovativo tra NASA e Technion mira a sviluppare un telescopio spaziale con uno specchio liquido di 50 metri, superando le limitazioni dei telescopi tradizionali e aprendo nuove possibilità per l’astronomia.
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Un recente articolo pubblicato su UniverseToday esplora un progetto innovativo nel campo dell’astronomia: la creazione di un telescopio spaziale con uno specchio di 50 metri di diametro, realizzato utilizzando una tecnologia fluida. Questo approccio potrebbe cambiare radicalmente il modo in cui osserviamo l’universo, superando le limitazioni attuali dei telescopi tradizionali.

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Il concetto del FLUTE e le sue potenzialità

Il progetto FLUTE è frutto della collaborazione tra NASA e Technion, ed è concepito per affrontare le sfide legate alla costruzione di telescopi sempre più grandi. Attualmente, i telescopi come il James Webb Space Telescope hanno raggiunto limiti significativi nella loro progettazione. Lo specchio primario del JWST ha già esaurito le possibilità di essere ripiegato per il lancio nello spazio. Per osservare esopianeti e altri fenomeni astronomici distanti servirebbero specchi ancora più ampi, ma la tecnologia attuale non consente questa realizzazione.

L’idea alla base del FLUTE è semplice ma audace: utilizzare un liquido che fluttua nello spazio per formare uno specchio sferico attraverso la tensione superficiale. In microgravità, una pellicola sottile di liquido può assumere forme ideali per ottiche avanzate senza i vincoli dei materiali solidi tradizionali. Questo approccio non solo offre dimensioni maggiori rispetto ai metodi convenzionali ma apre anche a nuove possibilità nella progettazione degli strumenti astronomici.

Le sfide tecniche della manovra dello specchio liquido

Nonostante l’innovatività del progetto FLUTE, ci sono importanti questioni tecniche da risolvere prima che possa diventare realtà. Una delle principali preoccupazioni riguarda come lo specchio liquido reagirà durante le manovre tipiche dei telescopi spaziali, note come slewing, quando si spostano da un obiettivo all’altro nel cielo notturno.

Una ricerca condotta da Israel Gabay e colleghi della Technion ha analizzato questo aspetto cruciale attraverso modelli matematici avanzati e esperimenti pratici. Hanno sviluppato un modello teorico che descrive come lo specchio liquido si comporta sotto accelerazioni angolari dovute a queste manovre. I risultati indicano che durante il slewing la superficie dello specchio subisce deformazioni microscopiche che possono propagarsi lentamente verso il centro dello stesso.

Queste deformazioni sono minime—misurate in micron—ma rappresentano una sfida significativa per mantenere l’integrità ottica dello strumento nel lungo termine. Gli scienziati hanno scoperto che dopo anni di operatività quotidiana con numerose manovre slewing effettuate dal telescopio, circa l’80% della superficie rimane entro tolleranze accettabili per garantire immagini chiare e dettagliate dell’universo.

La gestione delle manovre e gli esperimenti pratici

La ricerca suggerisce anche un nuovo approccio nella gestione delle manovre del FLUTE: gli operatori dovrebbero stabilire un “budget” massimo di slewing tollerabili prima che le deformazioni compromettano seriamente le capacità ottiche del telescopio stesso. Sorprendentemente, piccole manovre multiple in diverse direzioni possono risultare più efficaci rispetto a singoli movimenti ampi; ciò avviene perché queste piccole variazioni generano deformazioni simmetriche più facili da correggere otticamente.

Per validare queste teorie astratte in laboratorio sono stati condotti esperimenti utilizzando pellicole liquide sottoposte a forze elettromagnetiche controllate; questi test hanno confermato i modelli matematici previsti dai ricercatori riguardo al comportamento dinamico dei fluidi nello spazio.

Futuro degli strumenti astronomici con telai fluidici

Le implicazioni dell’approccio fluido vanno oltre la semplice costruzione di telesocpi enormemente grandi; esso potrebbe portare allo sviluppo di strumenti capaci d’automodificarsi secondo necessità osservative specifiche o addirittura ripararsi autonomamente dai danni causati da micrometeoriti o altre insidie cosmiche nel corso degli anni.

Le ricerche sul FLUTE dimostrano quindi non solo il potenziale rivoluzionario nell’ambito dell’osservazione astronomica ma anche l’importanza della fisica applicata al design degli strumenti scientifico-tecnologici futuri. Con agenzie spaziali già impegnate nella pianificazione dei prossimi decenni nei programmi dedicati ai nuovi telescopi spaziali, questo tipo d’approccio rappresenta una transizione fondamentale verso metodologie innovative basate sulla dinamica dei fluidi piuttosto che sulla produzione meccanica tradizionale.