Il complesso rapporto tra mafia e religione: dalla scomunica di Papa Francesco alle ambiguità della Chiesa

L’articolo esplora il complesso rapporto tra mafia e religione, evidenziando le ambiguità della Chiesa cattolica e l’evoluzione della posizione di Papa Francesco contro le pratiche mafiose.
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Il legame tra mafia e religione è un tema delicato che ha suscitato dibattiti nel corso degli anni. La partecipazione dei mafiosi a cerimonie religiose contrasta con i valori cristiani, creando una frattura evidente. Nonostante le posizioni assunte da alcuni pontefici, la risposta della Chiesa è stata spesso tardiva e ambivalente. Questo articolo analizza il percorso storico di questa relazione complicata, con particolare attenzione alle dichiarazioni di Papa Francesco.

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La posizione della Chiesa sulla mafia

La lotta contro la mafia ha visto un significativo cambiamento sotto il pontificato di Papa Francesco, che ha portato la questione all’attenzione pubblica in modo deciso. Tuttavia, le gerarchie ecclesiastiche non sempre hanno seguito il suo esempio. Prima del 2014, nessun papa aveva mai utilizzato esplicitamente il termine “scomunica” in riferimento ai mafiosi; solo Giovanni Paolo II si era espresso sull’argomento nel 1993 ad Agrigento. Fino ad allora, i pontefici italiani non avevano mai menzionato le mafie nei loro discorsi ufficiali.

Il rapporto tra i membri delle organizzazioni mafiose e la fede cattolica è complesso: molti mafiosi si considerano devoti praticanti. Partecipano attivamente alla vita religiosa delle comunità locali: vanno a messa, ricevono sacramenti come battesimi e matrimoni in chiesa e sono spesso generosi benefattori per le parrocchie. Questo comportamento solleva interrogativi sulla compatibilità tra l’essere cattolico fervente e l’appartenere a organizzazioni criminali.

Il primo tentativo di scomunica

Un episodio significativo nella storia della Chiesa riguardo alla mafia risale al 1989 quando il cardinale Michele Giordano annunciò che i vescovi stavano considerando una scomunica per tutti coloro condannati come mafiosi da un tribunale. Tuttavia, questa proposta fu rapidamente smorzata dal cardinale Poletti durante l’assemblea della Conferenza Episcopale Italiana , dove affermò che non era prevista alcuna sanzione simile.

Questo episodio evidenziò divisioni interne all’episcopato italiano riguardo alla necessità di affrontare pubblicamente la questione mafiosa. Solo nel 2014 Papa Francesco intervenne con fermezza durante una visita in Calabria affermando chiaramente che “i mafiosi non sono in comunione con Dio” ed esprimendo così una posizione netta contro queste pratiche.

Un lungo silenzio ecclesiastico

Nel passato recente c’è stato un notevole silenzio da parte dei rappresentanti ecclesiastici riguardo ai fenomeni mafiosi anche quando questi raggiungevano notorietà internazionale. In Sicilia, per esempio, figure come il cardinale Ernesto Ruffini negavano l’esistenza stessa del problema o minimizzavano qualsiasi legame fra Chiesa e mafia.

Dopo eventi tragici come la strage di Ciaculli nel 1963 – dove persero la vita sette uomini delle forze dell’ordine – Paolo VI chiese al cardinale Ruffini di prendere una posizione chiara contro Cosa Nostra; tuttavia Ruffini rifiutò categoricamente qualsiasi accusa verso il clero locale definendola propaganda comunista mirata a danneggiare la Democrazia Cristiana.

Solo negli anni ’80 si cominciarono a sentire voci più critiche all’interno della Chiesa grazie agli interventi del cardinale Pappalardo dopo omicidi eccellenti; ma ci vollero ancora anni prima che venisse riconosciuto ufficialmente il problema delle infiltrazioni mafiose nelle comunità locali.

Dalla retorica ai fatti concreti

Negli ultimi decenni ci sono stati segnali positivi dall’interno della Chiesa cattolica italiana rispetto alla lotta contro le organizzazioni criminali. L’omicidio del sacerdote don Pino Puglisi nel 1993 rappresenta uno spartiacque importante nella presa di coscienza collettiva dell’episcopato italiano nei confronti della mafia; egli fu beatificato proprio per aver opposto resistenza al crimine organizzato.

Nel corso degli anni successivi diversi documenti ufficiali hanno condannato apertamente le attività delle mafie definendole “la configurazione più drammatica del male”. Alcuni vescovi hanno iniziato ad adottare misure concrete come vietare funerali religiosi ai membri notoriamente affiliati alle cosche o negare loro ruoli significativi nelle cerimonie religiose.

Nonostante ciò rimangono molte ambiguità: episodi recentissimi dimostrano quanto sia difficile applicare coerentemente queste linee guida sul territorio parrocchiale dove continuano a verificarsi situazioni contraddittorie come quella avvenuta durante i funerali del boss Casamonica nel 2015 a Roma.

Questa situazione mette in luce quanto sia complessa l’interazione fra fede religiosa ed elementi criminali nella società italiana contemporanea senza dimenticare gli appelli continui da parte dei vertici ecclesiastici affinché venga mantenuto un distacco netto dalle pratiche illegali.

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