Il 18 giugno 2025 segna il debutto nelle sale italiane di “28 anni dopo“, il sequel atteso del cult “28 giorni dopo“. Diretto dal Premio Oscar Danny Boyle, questo nuovo capitolo si propone come un’esperienza cinematografica intensa e coinvolgente. La pellicola esplora temi attuali attraverso una narrazione horror che invita alla riflessione. Con un cast rinnovato e una trama avvincente, il film promette di catturare l’attenzione del pubblico.
La trama di “28 anni dopo”
La storia si svolge quasi tre decenni dopo gli eventi del primo film, in cui un virus della rabbia ha devastato la società. I sopravvissuti vivono in condizioni estreme, costretti a rimanere isolati su un’isola collegata alla terraferma da una strada rialzata e sorvegliata. Qui, i protagonisti devono affrontare non solo le minacce rappresentate dagli infetti ma anche le sfide interne al loro gruppo. Quando uno dei membri decide di lasciare l’isola per esplorare la terraferma, scopre segreti inquietanti che mettono in discussione tutto ciò che conosceva.
Il regista Boyle ha voluto creare una narrazione ricca di tensione e colpi di scena, mantenendo viva l’atmosfera claustrofobica del primo film. Gli spettatori saranno catapultati in un mondo dove la paura è palpabile e ogni scelta può avere conseguenze fatali. Le dinamiche tra i personaggi sono complesse; ognuno porta con sé il peso delle proprie esperienze passate mentre cercano disperatamente di sopravvivere.
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L’evoluzione dell’horror secondo Danny Boyle
Danny Boyle ha dichiarato che l’horror è diventato nel tempo un genere molto più inclusivo rispetto al passato. Durante la realizzazione del primo film era diffusa l’idea che le donne non fossero interessate a questo tipo di storie; oggi invece è evidente come il pubblico sia cambiato radicalmente. L’interesse per i film horror è cresciuto esponenzialmente tra tutti i gruppi demografici.
Boyle sottolinea come questo genere permetta agli spettatori di confrontarsi con paure profonde e reali attraverso una lente fantastica: “L’horror ci attrae perché ci permette d’affrontare gli orrori della vita quotidiana”, afferma il regista. Questa nuova visione ha portato a coinvolgere diverse voci nel processo creativo, rendendo così “28 anni dopo” non solo un sequel ma anche uno studio sulle emozioni umane più primitive.
Tematiche contemporanee nel nuovo capitolo
Uno degli aspetti più interessanti della pellicola è l’inserimento tematico della Brexit all’interno della narrativa post-apocalittica. Secondo Boyle, questa scelta serve a riflettere su divisioni sociali ed economiche presenti nella società contemporanea: “Volevamo mostrare come queste fratture possano amplificarsi in situazioni estreme”, spiega il regista.
Inoltre, viene menzionata anche la cultura popolare dei Teletubbies come simbolo delle differenze generazionali emerse negli ultimi trent’anni; elementi apparentemente innocui possono assumere significati diversi quando collocati in contesti drammatici o distopici.
Innovazione tecnica: girare con smartphone e droni
Un altro aspetto innovativo di “28 anni dopo” riguarda le tecniche utilizzate per la ripresa delle scene: Boyle ha scelto strumenti moderni come smartphone e droni per catturare immagini suggestive senza compromettere troppo l’ambiente naturale circostante alle riprese. Questo approccio offre al pubblico visuali fresche ed originali pur mantenendo intatta la tensione visiva tipica dell’horror.
“Abbiamo voluto sperimentare nuove tecnologie,” racconta Boyle riguardo alle scelte stilistiche fatte durante le riprese; questa decisione rappresenta sia una sfida creativa sia un modo per restituire autenticità all’esperienza visiva proposta dal film.
Un nuovo capitolo verso una trilogia autonoma
Infine, “28 anni dopo” non si limita ad essere semplicemente un sequel ma segna anche l’inizio di una nuova trilogia autonoma secondo quanto dichiarato da Danny Boyle stesso durante interviste promozionali. Ogni episodio sarà indipendente pur mantenendo legami tematici con gli altri due capitoli futuri previsti dalla serie.
Il viaggio intrapreso dai protagonisti riflette quindi questioni universali sul progresso umano e sulla crescita personale all’interno delle comunità fragili create dall’emergenza sanitaria globale causata dal virus della rabbia.