L’articolo pubblicato su Avvenire il 16 luglio scorso ha suscitato numerose reazioni da parte di teologi, studiosi, insegnanti e giornalisti. L’autore, Antonio Spadaro, intende rispondere a queste riflessioni per proseguire un dialogo sul tema del “romanticismo” in relazione al pontificato di Papa Francesco. Questo concetto non è solo una questione stilistica, ma rappresenta un modo necessario per affrontare le sfide culturali e antropologiche del nostro tempo.
Il significato del romanticismo nel pontificato
Chi ha commentato l’articolo ha compreso che definire Papa Francesco come “romantico” non implica una visione nostalgica o sentimentale. Al contrario, si tratta di una visione antropologica ben precisa. La sua idea di romanticismo si fonda su un’apertura radicale alla totalità dell’esperienza umana: accettazione delle ombre, dei dubbi e delle ferite che caratterizzano la vita quotidiana.
Francesco si inserisce in quella tradizione cristiana che Romano Guardini aveva descritto come “antropologia polare”. In questo contesto non c’è spazio per negare i conflitti; piuttosto si tratta di abbracciare le tensioni tra opposti: inquietudine e pace, ragione e cuore. Questa capacità di tenere insieme le differenze è fondamentale nella teologia romantica del Papa.
La sua visione non deve essere interpretata come debolezza dottrinale o cedimento al relativismo; al contrario rappresenta un forte richiamo alla verità profonda dell’essere umano. Una verità che emerge attraverso l’esperienza viva piuttosto che attraverso deduzioni logiche rigide.
Le tre ‘i’ della spiritualità francescana
Uno degli aspetti più interessanti della riflessione sul desiderio è stato messo in evidenza da alcuni commentatori: la cultura contemporanea vive un paradosso riguardo al desiderio stesso. Da una parte sembra essersi trasformata in narcisismo consumistico; dall’altra il desiderio può aprirci a dimensioni trascendenti.
Papa Francesco pone il desiderio al centro della vita spirituale senza moralizzarlo né demonizzarlo. Per lui il cuore umano è capace sia di Dio sia del desiderio stesso. L’inquietudine diventa quindi segno distintivo della ricerca dell’Altro mentre l’incompletezza viene vista come apertura verso nuove possibilità.
In questo contesto l’immaginazione gioca un ruolo cruciale poiché permette all’uomo contemporaneo – spesso frustrato dalla mancanza d’oggetti adeguati ai suoi desideri – di trovare alternative significative rispetto alla mera soddisfazione immediata proposta dalla società attuale.
Francesco invita ad accogliere il desiderio come espressione autentica della nostra umanità anziché reprimerlo o ignorarlo. Egli ci esorta ad ascoltare profondamente i nostri impulsi interiori orientandoli verso la verità e la Vita stessa anche se ciò comporta smarrimenti lungo il cammino.
Inquietudine e certezza nella fede
Una domanda ricorrente nei commenti riguarda se possa esistere un Papa inquieto o se debba incarnare sempre certezze assolute quale “pastor angelicus”. Qui emerge la novità radicale nell’approccio pastorale di Francesco: l’inquietudine viene vista come apertura alla realtà piuttosto che debolezza personale.
Nella sua concezione la fede non chiude le porte alla ricerca ma ne costituisce invece una forma compiuta all’interno delle relazioni umane autentiche. La verità diventa così qualcosa da percorrere insieme anziché possedere rigidamente; questa prospettiva porta con sé concetti quali ascolto, discernimento ed esperienza condivisa dei conflitti interiori ed esterni.
La modernità ha spesso cercato soluzioni razionali ai conflitti senza considerare gli elementi ambigui o imprevisti presenti nelle relazioni umane; tuttavia Francesco abbraccia questi paradossi riconoscendo nel turbamento emotivo uno strumento prezioso per avvicinarsi a forme più profonde della verità stessa.
La letteratura come specchio dell’anima
Un altro aspetto interessante emerso dalle riflessioni riguarda il legame tra romanticismo francese ed amore per la letteratura da parte del Papa stesso. Recentemente pubblicando “Viva la poesia!”, egli sottolinea quanto sia importante restituire dignità alle parole poetiche in tempi dove sembra prevalere l’incapacita d’immaginare oltre i confini imposti dalla società moderna.
Leggendo autori classici quali Dostoevskij o Borges, non lo fa solo per erudizione ma perché riconosce nella letteratura quel potenziale unico capace d’esprimere esperienze vivide legate all’essenza umana: dolore, attesa ed incontri significativi sono temi centrali nei racconti letterari rispetto alle astrazioni filosofiche talvolta distaccate dal vissuto reale delle persone comuni.
Nel suo messaggio emerge chiaramente anche il concetto di Destino contrapposto alla sorte individualista; mentre quest’ultima appare cieca ed egoistica, il destino implica relazioni aperte capaciti d’includerci tutti dentro storie più grandi dove ciascuno trova senso attraverso vocazioni personali dirette verso pienezze comuni.
Un messaggio universale oltre gli schemi ideologici
Infine va notata una peculiarità significativa nel modo in cui Francesco comunica con credenti così come con coloro lontani dalla fede religiosa tradizionale. Nonostante abbia incontrato resistenze tanto negli ambienti ecclesiali quanto fra alcuni gruppuscoli radicalizzati, la sua capacità comunicativa rimane ancorata ad emozioni universali condivise.
Egli propone percorsi invece d’immediate soluzioni preconfezionate; alimentando domande profonde anziché fornendo risposte facili. Così facendo riesce ad amalgamare elementi apparentemente discordanti: fragilità vs forza, verità vs dubbio creando spazi inclusivi dove ogni persona possa sentirsi accolta indipendentemente dal proprio background religioso od ideologico.
Il romanticismo espresso dal pontefice dunque va ben oltre mere estetiche indeterminate; rappresenta infatti uno sguardo profondo sulla fede vissuta concretamente nell’ascolto reciproco dei cuori, capace d’accogliere ferite pur mantenendo viva speranza futura.