Mohammad Al-Yousif, giovane rifugiato palestinese, esprime il suo desiderio di combattere con la musica anziché con le armi. Il suo percorso è stato profondamente influenzato dal progetto “Music and resilience”, avviato dodici anni fa da Henry Brown e Deborah Parker in collaborazione con l’associazione italiana Prima Materia e l’ong libanese Beit Atfal Assomoud. Questo programma mira a offrire opportunità ai giovani nei campi profughi palestinesi in Libano, attraverso attività educative e culturali che promuovono la crescita personale e comunitaria.
Un’alternativa alla violenza
La musica rappresenta per Mohammad una via d’uscita dalla difficile realtà del campo profughi di Ain al-Hilweh, il più grande del Libano. “Attraverso la musica possiamo evadere dalla nostra condizione”, afferma Al-Yousif, sottolineando come questo approccio possa contrastare la radicalizzazione giovanile all’interno dei campi. Molti ragazzi della sua generazione hanno scelto strade più pericolose, arruolandosi con gruppi armati come Hamas. Alcuni di loro non sono mai tornati a casa.
Il progetto “Music and resilience” offre un’opportunità unica: riunisce giovani provenienti da diverse nazionalità – palestinesi, curdi, siriani e libanesi – per partecipare a corsi musicali che si tengono tre volte all’anno. Durante queste sessioni i partecipanti imparano a suonare strumenti musicali, cantare e praticare musicoterapia sia individualmente che collettivamente. L’obiettivo è creare un ambiente inclusivo dove ogni voce conta.
Leggi anche:
Le attività si svolgono in spazi colorati decorati con simbolismi delle culture locali; qui i suoni delle percussioni si mescolano alle melodie del violino e del ney . I ragazzi possono esplorare vari strumenti musicali come tastiere, oud , chitarre e qanun . Questa esperienza non solo offre momenti di svago ma permette anche ai partecipanti di costruire relazioni significative tra loro.
Uscire dall’isolamento
L’importanza della musica va oltre il semplice intrattenimento; rappresenta un mezzo per affrontare le sfide quotidiane legate alla vita nel campo profughi. Mohammad racconta che prima molti giovani vivevano chiusi nel proprio mondo senza prospettive future; ora grazie al progetto possono viaggiare fuori dai confini del campo ed esplorare nuove città ed esperienze culturali.
Secondo stime recenti dell’Unrwa , circa 489mila rifugiati vivono nei dodici campi profughi libanesi; tuttavia il governo libanese fornisce cifre significativamente inferiori basate su censimenti datati. Questa discrepanza evidenzia una realtà complessa: pur avendo accesso all’istruzione superiore, i palestinesi incontrano ostacoli nell’inserimento professionale ufficiale nel paese ospitante.
Dario Gentili dell’associazione Prima Materia spiega che questa situazione è dovuta a ragioni politiche: il governo tende a minimizzare il numero dei rifugiati poiché ciò limita le loro possibilità lavorative al solo ambito delle associazioni riconosciute o dei campi stessi.
La potenza della comunità musicale
Marco Lolli, psicologo coinvolto nel progetto “Music and resilience”, enfatizza l’importanza della comunità musicale come spazio libero da vincoli burocratici o socialmente imposti: “Non c’è bisogno di alcun tipo di passaporto”. La musica diventa quindi uno strumento potente contro l’idea errata che nelle zone conflittuali non ci possa essere spazio per la felicità o l’espressione artistica.
Francesca Lico aggiunge un altro punto cruciale riguardo alla pedagogia musicale tradizionale spesso autoritaria: “Ogni individuo ha diritto ad esprimersi liberamente attraverso la musica”. Questo approccio consente ai partecipanti di costruire insieme repertori musicali inclusivi che rispecchiano le loro identità culturali condivise mentre affrontano temi importanti legati alle loro esperienze personali e collettive.
Jana Al-Yousif racconta come grazie al progetto abbia trovato nella musica uno strumento fondamentale per elaborare emozioni complesse legate alla sua identità palestinese. Attraverso esperienze condivise durante i campus estivi ha potuto confrontarsi apertamente sulla storia familiare segnata dall’espulsione forzata durante la Nakba del 1948.
Oggi Jana sente una connessione speciale verso una canzone appresa recentemente dall’orchestra resistente: “Penso alle illusioni dell’umanità”, parole cariche di significato che risuonano profondamente nella vita quotidiana dei ragazzi coinvolti nel programma musicale.