La scomunica dei mafiosi: promesse di Papa Francesco e realtà del caso Brusca

La liberazione di Giovanni Brusca riaccende il dibattito sulla distanza tra le dichiarazioni della Chiesa cattolica contro la mafia e la loro applicazione pratica, sollevando interrogativi sulla scomunica.
La scomunica dei mafiosi: promesse di Papa Francesco e realtà del caso Brusca - Socialmedialife.it

La recente liberazione di Giovanni Brusca, noto per il suo ruolo nella mafia siciliana e per crimini atroci come l’omicidio del piccolo Di Matteo, ha riacceso il dibattito sulla distanza tra le dichiarazioni della Chiesa cattolica e la loro applicazione pratica. Nonostante le forti parole di Papa Francesco contro la mafia, la questione della scomunica rimane irrisolta. Questo articolo esplora il contesto attuale e storico delle posizioni ecclesiastiche riguardo alla criminalità organizzata.

Seguici su Google News

Ricevi i nostri aggiornamenti direttamente nel tuo feed di
notizie personalizzato

Seguici ora

Il caso Brusca: un simbolo controverso

Giovanni Brusca è stato uno dei protagonisti più temuti della mafia italiana. Dopo aver scontato 25 anni di carcere grazie alla legge sui collaboratori di giustizia, è tornato in libertà suscitando reazioni contrastanti nel paese. La sua figura rappresenta non solo un passato oscuro ma anche una riflessione sulle leggi italiane che permettono a chi collabora con la giustizia di ottenere significativi benefici penali.

La sorella del magistrato Giovanni Falcone, assassinato dalla mafia nel 1992, ha commentato con rassegnazione che questa è semplicemente la legge vigente in Italia. Maria Falcone ha sottolineato l’importanza della normativa sui collaboratori come strumento necessario per combattere le organizzazioni mafiose dall’interno. Tuttavia, molti altri hanno espresso indignazione per la liberazione di Brusca; tra questi l’ex procuratore Antimafia Piero Grasso ha parlato apertamente di rabbia nei confronti del sistema giudiziario.

Le parole forti pronunciate da Papa Francesco nel corso degli anni contro i mafiosi – definiti “scomunicati” – sembrano ora lontane dalla realtà quotidiana dei tribunali italiani e dalle vite delle vittime della mafia. Questo solleva interrogativi su quanto siano efficaci le dichiarazioni morali se non seguite da azioni concrete.

Le promesse non mantenute della Chiesa

Nel 2014, durante una visita in Calabria, Papa Francesco aveva affermato senza mezzi termini che i mafiosi sono esclusi dalla comunione con Dio. Queste affermazioni avevano generato speranze circa una possibile scomunica formale nei confronti dei membri delle organizzazioni criminali. Tuttavia, fino ad oggi non si sono visti sviluppi concreti in questa direzione.

Il tentativo più significativo da parte della Chiesa cattolica risale al 2021 quando fu istituito un gruppo di lavoro dedicato alla questione sotto il dicastero per lo sviluppo umano integrale; tuttavia questo progetto sembra essersi arenato senza risultati tangibili. Lirio Abbate ha evidenziato come ci sia stata una mancanza nell’applicare queste intenzioni a livello pratico all’interno delle strutture ecclesiali.

In passato ci sono stati tentativi falliti simili: nel 1989 si era discusso all’interno dell’assemblea dei vescovi italiani riguardo alla possibilità di scomunicare i mafiosi, ma tale proposta fu bloccata sul nascere dal cardinale Poletti, che chiarì che tali provvedimenti non erano previsti né prevedibili nella dottrina canonica.

Difficoltà nell’applicare norme canoniche

Una delle ragioni principali dietro l’impossibilità pratica di applicare una scomunica ai mafiosi risiede nelle complessità intrinseche al diritto canonico stesso. Attualmente esistono poche situazioni specifiche nelle quali può essere emessa una scomunica automatica , principalmente legate a reati gravi contro la fede o violenze fisiche verso il Pontefice stesso.

Ciò crea un dilemma su come gestire crimini gravi come quelli perpetrati dai membri della mafia all’interno dello schema giuridico ecclesiastico tradizionale. Alcuni esperti suggeriscono addirittura che sarebbe opportuno considerare anche altre forme gravi d’ingiustizia sociale come motivo sufficiente per emettere condanne spirituali formali; tuttavia questo approccio potrebbe portare a complicazioni ulteriormente intricate rispetto alle già complesse dinamiche interne alla Chiesa stessa.

L’interesse continuo mostrato da Papa Francesco verso temi quali corruzione e criminalità organizzata rimane evidente ma sembra ostacolarsi davanti alle difficoltà burocratiche ed interpretative interne al Vaticano stesso riguardo all’applicabilità concreta delle sue dichiarazioni pubbliche sulla materia.

Change privacy settings
×