Roberto Danovaro, ecologo e docente di Restauro degli ecosistemi marini all’Università Politecnica delle Marche, ha recentemente pubblicato un libro fondamentale per la comprensione e l’applicazione del restauro ecologico. Il volume, intitolato “Restaurare la natura, come affrontare la più grande sfida del secolo. Strategie e tecniche di ripristino degli ecosistemi”, rappresenta il primo testo in Italia dedicato a questa disciplina cruciale. Nel suo lavoro, Danovaro esplora le modalità per rigenerare gli ambienti degradati e ripristinare la biodiversità necessaria affinché questi possano continuare a fornire i servizi ecosistemici fondamentali.
La situazione attuale degli ecosistemi
Danovaro sottolinea che circa il 75% degli ecosistemi terrestri è ormai compromesso. Solo le aree montane alte e quelle situate in latitudini elevate sembrano essere esenti da questo degrado. Per quanto riguarda gli oceani, quantificare con precisione l’estensione dei danni è complesso; si parla più frequentemente di alterazioni che modificano gli equilibri naturali dell’ecosistema marino. Queste alterazioni riguardano non solo le caratteristiche chimico-fisiche dell’acqua ma anche la biodiversità stessa.
L’importanza del restauro ecologico emerge chiaramente quando si considera l’impatto delle attività umane sull’ambiente: inquinamento, cementificazione e deterioramento generale richiedono interventi mirati per recuperare habitat vitali. L’approccio proposto da Danovaro integra conoscenze ecologiche con scienze sociali ed economiche per affrontare queste problematiche in modo sistematico.
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Le strategie di restauro ecologico
Nel corso della nostra intervista con il professor Danovaro, abbiamo approfondito come articolare un processo efficace di restauro ecosistemico. Secondo lui, è essenziale reintrodurre specie chiave nell’ambiente danneggiato; ad esempio, nel caso dei boschi o delle praterie marine come quella della Posidonia oceanica. Il primo passo consiste nella rimozione delle cause che hanno portato al degrado ambientale—come l’inquinamento—seguendo poi con la reintroduzione delle specie necessarie alla formazione dell’habitat.
Il processo può essere classificato in due categorie principali: il restauro attivo e quello passivo. Il primo implica interventi diretti per accelerare i tempi di recupero naturale quando questi sono molto lunghi; mentre nel secondo caso ci si limita a rimuovere le cause del degrado affinché l’ambiente possa rigenerarsi autonomamente.
Tuttavia, nei contesti marini spesso risulta difficile applicare un approccio passivo poiché molte specie non riescono a recuperarsi senza assistenza umana diretta; pertanto è necessario adottare misure più incisive simili a una “terapia intensiva”.
Le sfide della scienza giovane
Danovaro definisce il restauro ecologico una “scienza giovane” proprio perché richiede competenze multidisciplinari aggiornate continuamente dalla ricerca scientifica recente. Riconoscere lo stato degradato dell’ambiente è solo il primo passo verso una soluzione efficace; occorre anche avere accesso agli strumenti adeguati per intervenire correttamente.
Un altro aspetto critico riguarda la governance economica dei progetti di restaurazione: chi finanzia queste iniziative? A livello internazionale si stanno sviluppando meccanismi finanziari innovativi come i blue bond destinati alla conservazione marina. Investire nel ripristino degli ecosistemi non deve essere visto solo come un costo ma piuttosto come un investimento proficuo dal quale possono derivarne ritorni significativi sia economici che ambientali.
Ad esempio sostituendo barriere frangiflutti artificiali con praterie sommerse di Posidonia oceanica si otterrebbero benefici multipli: riduzione dell’erosione costiera ed incremento della biodiversità marina sono solo alcuni dei vantaggi tangibili legati al ripristino naturale.
Approcci al restauro della Posidonia oceanica
La Posidonia oceanica riveste un ruolo fondamentale negli ecosistemi marini* mediterranei* ed è stata riconosciuta dall’Unione Europea tra gli habitat prioritari da tutelare. In passato i metodi utilizzati per restaurarla prevedevano lo spostamento manuale dei fasci vegetali da aree ricche verso siti degradati; tuttavia questa pratica ha dimostrato scarsa efficacia data la delicatezza della pianta stessa che cresce lentamente.
Oggi vengono sperimentate tecniche più avanzate quali trapianti effettuando prelievi insieme al sedimento circostante o coltivando semi raccolti direttamente dal mare prima di reintrodurli negli habitat danneggiati. Collaborazioni con pescatori artigianali possono inoltre contribuire al recupero involontario delle piante rimaste impigliate nelle reti durante le attività quotidiane.
Gli effetti positivi del restauro sugli oceani
I benefici derivanti dal ripristino degli habitat sottomarini sono molteplici e vanno ben oltre quelli immediatamente visibili agli occhi umani: una prateria sana contribuisce alla stabilizzazione del fondale riducendo così fenomeni erosivi comuni lungo le coste italiane dove ogni anno si registrano perdite significative di spiaggia dovute all’erosione costiera.
Inoltre queste aree fungono da nursery per molte specie ittiche favorendone così sia la crescita sia la diversificazione biologica complessiva dell’ecosistema acquatico locale contribuendo anche alla produzione d’ossigeno oltre ad aiutarti nella cattura del carbonio atmosferico mitigando così effetti negativi legati ai cambiamenti climatici globalmente riconosciuti oggi giorno.
Difficoltà nel recupero rispetto agli habitat terrestri
Le azioni intraprese a livello mondiale nei mari risultano significativamente inferiori rispetto ai progetti realizzati su terraferma principalmente a causa della difficoltà intrinseca nell’intervenire subacqueamente dove visibilità limitata rende complicata qualsiasi forma d’intervento diretto rispetto invece alle operazioni svolte su terreni facilmente osservabili dai satelliti.
In aggiunta vi sono questioni pratiche legate ai costosi strumenti necessari mentre coinvolgere comunità locali diventa meno fattibile senza specifiche competenze professionali richieste dagli operatorii subacqueii impegnandosi quindi maggiormente sul piano tecnologico rispetto alle azioni condotte sopra superficie terrestre.
Nonostante ciò esiste già una rete europea consolidata orientata verso pratiche innovative grazie soprattutto all’impegno italiano attraverso programmi coordinatori dall’Istituto Superiore Protezione Ambientale focalizzati sulla salvaguardia banchi naturali ostricoli gravemente minacciatì dalla pesca intensiva assieme ad altri progetti pionierìstici volti appunto al miglioramento dello stato salute mari italiani attraverso collaborazioni internazionali miranti sempre maggiore attenzione preservativa nei confrontì d’ambienti fragili presenti sotto superficie marina.